In un centro di prima accoglienza per richiedenti asilo (CAS o CARA) l’intercultura è “pane quotidiano” per i migranti che ci vivono e per coloro che ci lavorano: siamo tutti costantemente obbligati a riflettere insieme sulle nostre abitudini, i modi di scherzare, di parlare e stare insieme. Così nascono “zone di contatto” cioè discorsi terzi in cui la dialettica tra “io” e “te” è risolta nella creazione di uno spazio nuovo, inclusivo e aperto al cambiamento. Spesso ci interroghiamo sui modi in cui potremmo, a partire dalla nostra piccola esperienza, “condividere” questa pratica interculturale con altri segmenti della società.

Con quest’idea ben ancorata nelle nostre menti, durante l’inverno abbiamo cominciato a lavorare in collaborazione con l’Istituto IC Rosmini. Questa scuola, non solo si trova molto vicino al nostro centro di accoglienza, ma è anche molto sensibile al tema delle migrazioni. A gennaio ha addirittura ospitato il convegno conclusivo dell’edizione del 2017 di “Semi Di Lampedusa”, un progetto del MIUR sostenuto dal FAMI (Fondo Asilo Migrazione Integrazione), che ha portato 200 ragazzi delle scuole di tutta Italia a Lampedusa per parlare di migrazioni e conoscere i sopravvissuti al naufragio del 3 ottobre 2013.

Così il servizio socio-educativo del CAS Il Gelsomino e alcuni insegnanti di questa scuola hanno creato insieme “NarrAzioni”, un percorso didattico di ricerca e studio sull’emigrazione italiana all’estero e sull’immigrazione straniera in Italia, a cui hanno partecipato attivamente sia gli studenti della scuola che sette ospiti del centro di accoglienza.

Gli obiettivi di questo percorso sono strettamente collegati tra loro: promuovere l’interazione, lo scambio e la creazione di legami significativi tra giovani richiedenti asilo e quattro classi III° della suddetta scuola media; sensibilizzare i futuri cittadini del nostro paese e le loro famiglie sul tema delle migrazioni; lavorare sul pregiudizio diffuso nella nostra società, seguendo l’idea di Allport per cui “il contatto con membri di un gruppo esterno, se caratterizzato da condizioni positive, può ridurre il pregiudizio verso l’intero gruppo” (La natura del pregiudizio, 1954).

Le fasi del percorso sono state le seguenti:

  • Attività di conoscenza reciproca e interviste biografiche ai ragazzi migranti e agli studenti.
  • Approfondimenti tematici sul tema delle migrazioni presentandone il lessico specifico (per esempio clandestino, profugo, fuga dei cervelli, numero di immigrati italiani nel mondo…) e alcuni dati fondamentali, raccontare le rotte dei migranti odierni e la situazione socio-politica di alcuni paesi d’origine.
  • Realizzazione di un laboratorio di scrittura creativa e produzione di un elaborato finale.
  • Incontro conclusivo di condivisione tra le classi.
  • Pubblicazione di un libro che raccoglie i racconti e le riflessioni dei partecipanti.

Il coinvolgimento di tutti i partecipanti attraverso le interviste reciproche e il laboratorio di scrittura creativa è stato veramente sorprendente. Rielaborando i racconti dei migranti e gli altri materiali proposti, i ragazzi della scuola hanno scritto storie di migrazioni a colori e in bianco e nero; immedesimandosi nelle emozioni, speranze e paure di chi viaggia e lascia tutta la propria vita dietro di sé, oggi su un’imbarcazione di fortuna che salpa dalle coste libiche, ieri su un transatlantico diretto in America. Questo ha permesso agli studenti di elaborare in chiave personale concetti come la perdita, la speranza, la nostalgia, le difficoltà del viaggio che – almeno in questi termini – non appartengono alla loro vita quotidiana.

Il senso di questa attività è illustrato dall’insegnante Loredana De Luca, curatrice della pubblicazione, nell’introduzione al libro:

Scrivere per comprendere il mondo. Scrivere per conoscere l’altro. Costruire una storia, creare un personaggio. Guardare il mondo con gli occhi di quel personaggio. Ragionare e agire con la sua logica, parlare con la sua logica, comprendere e spiegare le sue ragioni. In questo impegnativo e complesso esperimento si sono cimentati un centinaio di ragazzi. […] Seppure con esiti molto diversi, i ragazzi, nel misurarsi con la scrittura, dando voce a chi fugge dalla guerra o dalla povertà, a chi è partito e non è mai arrivato, esplicitano e danno prova del senso di questo percorso: liberare il pensiero dalle incrostazioni dello stereotipo, conquistando un linguaggio più duttile e più ricco, capace di dare nuove e diverse forme al sapere, per disegnare un mondo meno indifferente e meno estraneo, per suggerire le parole del dialogo.”

Contemporaneamente, gli studenti hanno avuto la possibilità di approfondire e discutere alcuni temi di attualità (discriminazione, storia africana, immigrazione in Italia) con occhi diversi. In questo modo il percorso ha contribuito a combattere i pregiudizi contro gli immigrati e a fornire sia un vissuto concreto di condivisione che alcuni elementi di riflessione per le nuove generazioni e le loro esperienze future.

Ecco due citazioni dai lavori dei ragazzi della scuola media:

“Giorno dopo giorno, mese dopo
mese, anno dopo anno, ma
soprattutto barca dopo barca,
ormai tutti sanno cosa succede
ma nessuno ne parla.”

“‘Mamma ma dove stiamo andando’ ‘Lontano’
‘Lontano… quanto lontano?’ ‘Lontano, solo lontano amore’
Cosa avrei dovuto dirle. Forse ho sbagliato.
Avrei dovuto mentirle come hanno fatto gli altri
‘Andiamo in un posto bellissimo’ ‘Facciamo
un viaggio’oppure ‘Andiamo a raggiungere papà
Ma io no. Non sono stata capace di mentirle, ma neanche di dirle tutta la verità.”

Anche i ragazzi migranti hanno scritto un elaborato finale, chi raccontando il proprio viaggio, chi delle proprie speranze per il futuro, chi parlando della difficoltà di vivere in un paese straniero, chi condividendo alcune riflessioni generate dal percorso “NarrAzioni”.

 

di Francesca Messineo – Antropologa di formazione e specializzata in studi sociali sulla globalizzazione (Master in Global Studies Programme). Impegnata fin da giovanissima nella lotta al razzismo con il Comitato Abba Vive, nato in ricordo di un ragazzo italiano originario del Burkina Faso ucciso nel 2008 a Milano. Ho vissuto per qualche anno in Cile partecipando a diversi progetti per contrastare le disuguaglianze socio-economiche nella capitale: formazione professionale per donne indigene (AlpiAndes), laboratori per aiutare i bambini dei quartieri più poveri a sviluppare le proprie potenzialità socio-cognitive (Voces de la Calle), attività di ricerca sulla povertà urbana (TECHO-Chile). Tornata in Italia, mi sono appassionata alla didattica interculturale e all’insegnamento linguistico. Adesso vivo a Roma e lavoro in un Centro di Accoglienza Straordinaria per richiedenti asilo, dove insegno italiano e mi occupo di percorsi formativi per l’inclusione sociale dei migranti.